Oggi riflettevo sulla città in cui vivo. Roma.
Non so neanche come ci sono finita in Capitale, vuoi per indecisioni infinite sulla fatidica scelta universitaria, vuoi perché le mie prime scelte erano già state scartate. Insomma, io a Roma non ci volevo neanche venire. Preferivo la città piccola, a portata d’uomo, facile da gestire, che non ti facesse rinnegare ogni giorno per qualche piccolo disguido.
Alla fine mi sono ritrovata catapultata in questo centro pulsante e caotico, in questa voragine che gira su stessa, un moto vorticoso che non si arresta mai, dai movimenti ai quali non sapresti dare né un inizio né una fine. Cosa ci facevo qui?
Non ne avevo la più pallida idea.
Cominciai a litigare con questa città. Poi cercai di ingabbiarla all’interno di farraginosi schemi mentali, tentativi fallaci di organizzarla secondo i miei tempi, poi mi rassegnai semplicemente a borbottare le sue carenze, così come fanno i vecchietti al bar quando parlano dei tempi andati.
Alla fine mi fermai. Letteralmente. Mi trovavo in macchina, un amico, degno dell’appellativo di salvatore, mi stava accompagnando a casa e mi avrebbe evitato il lungo supplizio dei notturni romani.
Appoggiai la testa al finestrino, e guardai la città. Attraversammo la zona di Trastevere, sbucammo come dei piccoli roditori sotto il marmoreo altare della patria, risalimmo verso la pietra miliare dell’epoca degli antichi latini.
Ci perdemmo in strade e viali. La città nel suo silenzio costellato da pallide luci, mi stava sorridendo.
Da lì capii perché ero capitata in questa grande città. Non l’avevo scelta io, lei mi aveva accuratamente scelto. Il motivo? Perché respiravamo allo stesso ritmo. Perché pulsavamo come muscoli troppo allenati. Perché amavamo il frastuono e le voci insensate. Perché ascoltavamo il silenzio assieme. Perché vivevamo di contraddizioni entrambe.
Tutto era un caos nel quale cercavamo di districarci, con forza, sbagliando, arrancando, affannando i nostri respiri.
Roma è una città che ti mette alla prova, ti costringe a perder tempo, concetto che per la nostra società diventa il male più esecrabile. Eppure è un male necessario.
Roma ti spinge a guardarti dentro e scavarti una fossa per poi risalire.
Basta il vento primaverile e un ponte che attraversa il Tevere, per dimenticare l’appuntamento che salta, l’autobus che fa ritardo, il traffico che si dirama come sangue all’interno delle arterie cittadine, basta che ti giri e la guardi dritta negli occhi questa Roma.
Vedrai che sta comunque continuando a sorridere.
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