Certe volte la retta via sembra smarrita, e non è solo una semplice citazione dantesca, le strade della vita sono discontinue e sdrucciolevoli e non si sa mai cosa puoi incontrare lungo il cammino.
Certe volte il calore del sole non lo avverti sulla pelle, sentirsi parte di questo mondo diventa difficile, respirarne gli odori e viverne gli attimi ancor di più.
Certe volte è più facile ritirarsi in se stessi con l’amara consolazione che prendersela con tutto ciò che ci circonda sia la giusta decisione.
Certe volte si è stanchi di continuare a camminare, eppure si prova a correre sprecando solo il fiato.
Certe volte si è soliti chiudere le emozioni in soffitta, per farsi mangiare lo stomaco dalla rabbia e dal rancore.
Ma c’è qualcosa che un occhio molto acuto non può far finta di non vedere. L’essenziale è invisibile agli occhi, ma c’è una declinazione nel verbo vedere talmente intensa e viscerale che ci aiuta a divincolarci tra le oscurità delle sovrastrutture abilmente costruite nel corso del tempo. Capire con gli occhi dello spirito.
Non è una riflessione su qualche filosofia orientale surreale e strampalata, non è semplice qualunquismo. E’ ciò che nel tempo abbiamo imparato a dimenticare, perché ci piace portare fardelli, perché gongoliamo nello sguazzare in un mare nero, in un tunnel senza uscita.
Lessi la prima volta Il Piccolo Principe quando avevo 13 anni e ho deciso a 10 anni di distanza di risporverarlo. Ero avida di quelle parole, di sentirle scorrere dentro, in quaranta minuti avevo trangugiato ogni singola frase.
E immaginavo la malinconia di quel dolce essere, l’amore verso la sua rosa così orgogliosa per ammettere le sue debolezze, la diffidenza della volpe che chiede di essere addomesticata e di rispettare i riti degli uomini perché solo così ogni giorno permetteva al piccolo principe di sedersi più vicino a lei.
L’avidità dell’uomo che contava le stelle rivendicandone il possesso, il triste re che non governa su nessuno, l’ubriacone che beve per dimenticare il suo misero stato, l’omino che accende e spegne il suo lampione ogni minuto, per il semplice fatto che si sente in dovere di farlo.
Ho rivisto il panorama che ci attanaglia ogni giorno. E di come non alziamo neanche un dito per ritrovare quel primordiale istinto che ci fa sentire felici, anche solo per un attimo.
Poi mi sono stesa su un’amaca, la mia cagnolina sul grembo che come una piccola volpe ha imparato a fidarsi di me, le piante di rose del giardino di mia nonna che altezzose allungano lo stelo e aprono la corolla impettite, il sole che spennellava i suoi raggi tra il verde delle foglie dell’albero, facendo penetrare il suo calore con discrezione e maestria. Il dondolarsi e il perdersi in quel respiro universale, senza pensare a nulla.
Aveva ragione quel principino con il capelli color del grano, l’essenziale è invisibile agli occhi.
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