Una vita ad aspettare.

Ad aspettare in fila alla cassa quando hai solo del pane e una busta di insalata in mano e guardi la vecchietta davanti a te che, con il carrello pieno, conta ogni centesimo contenuto nel suo portamonete con chiusura a clip. Perché vuole essere sicura. Perché intanto tu aspetti paziente.

Una vita ad aspettare.

Che gli studi finiscano, che i voti si alzino, che le lauree e i titoli aumentino. Mentre, paziente, sprechi maree di fogli ed evidenziatori per sottolineare ciò che credi opportuno, per incanalare miriadi di informazioni e riversarle come un fiume in piena all’orale. Per poi, pochi mesi dopo, non ritrovarne che un rubinetto che gocciola a fatica.

Una vita ad aspettare.

Che siano scelti gli altri, che si susseguano per te tirocini su tirocini (neanche fossimo gli specializzandi di Grey’s Anatomy) . Peccato, che poco si impari, se non la pazienza di aspettare. Che qualcosa avvenga, che qualcosa cambi.

Una vita ad aspettare.

Che i soldi arrivino e che tu possa dire “ci penso io, davvero!”. Neanche fossi la piccola fiammiferaia che aspetta di accendere l’ultimo fiammifero per strada. Quasi a sentirti graziata perché ti vengono dati due spicci per il duro lavoro che hai fatto (magari per mesi prolungati).

Una vita ad aspettare.

“Vedrai arriverà”, “Vedrai succederà”, “Vedrai non sarà sempre così”. Io Vedrai, me lo farei dire solamente da Luigi Tenco, per il resto è una parola che non mi basta, è una parola che mi sta stretta che ti fa guardare con ansia e preoccupazione il futuro.

Invece il futuro è ora, perché sei viva, perché sei giovane, perché non hai perso la voglia di sognare. Perché credi che il mondo vada veloce, ma che l’animo abbia un’altro ritmo. Lo stesso ritmo che sussegue una parola dopo l’altra quando si vuol scrivere qualcosa. Perché lo sai che sei rimasta fedele a te stessa, a quella parte di te che vuol credere ci sarà il tempo per essere la migliore.

The greatest.