Ho fatto una piccola lista di colloqui lavorativi imbarazzanti: se non possiamo cambiare il modus operandi di alcune aziende, tanto vale riderci su.
Posso dire di aver raccolto un po’ di esperienze bislacche in questo complicato mondo del lavoro, dove se sei giovane sei peggio di una calzino bucato e puzzolente di cui sbarazzarsi o peggio ancora un limone da spremere fino ad arrivare alla buccia.
Maglioncino natalizio
Sì, sto parlando esattamente di quel maglionicino sui toni del blu, rosso e verde con tanto di stelle di neve raffigurate. Perché siamo un’agenzia di comunicazione, perché siamo un po’ hipster dentro e Dio ci salvi dal guardaroba sobrio. Individui di questo genere spulciano il tuo curriculum frase per frase, chiedendoti spiegazioni, racconti, elaborazioni quantistiche. Si dimostrano interessati a quel che hai da dire, mentre tu ti concentri su ogni esperienza formativa e professionale – ardua impresa quando hai davanti un hipster vestito da elfo a novembre, che dico io non è ancora Natale e sei già pronto per la Vigilia – e credi anche di essere ascoltata.

Poi arriva la domanda fatidica “Compenso e inquadramento contrattuale?”
“ Be..pensavamo ad un garanzia giovani, ovviamente non vogliamo offrire uno stage non retribuito”.
Ah, quindi uno stage non retribuito mascherato da stage retribuito va anche bene. Ma cosa ci si aspetta da uno vestito in stile Santa Claus is coming a novembre?
La Stronza
Sei in attesa in sala d’aspetto per affrontare il tuo colloquio e non sai perché ma ti senti agitata e sofferente come quando attendi di curarti una carie dal dentista. Perché lo sai che lei sta arrivando, apre la porta del suo ufficio – da notare che è l’unica ad avere un ufficio separato mentre i giovani schiavetti si trovano ammassati nelle stanze dei “creativi” tra mac enormi che ricreano un effetto sauna poco piacevole – e con quegli occhi scrutatori ti indaga da lontano. “ È lei G.?” “ Sì, sono io” rispondi con voce sommessa, neanche si fosse presentata con un trapano in mano.

Ti accompagna nella sala riunioni, una tavola rotonda che Re Artù ti spiccia casa. E tu ti guardi un po’ in giro con gli occhi sognanti, sperando di lavorare lì, presso l’ agenzia pubblicitaria figa. Ma lei non è dello stesso parere, indaga come il Dottor House se nel tuo curriculum c’è qualche malattia infettiva da scovare. La trova, mette il dito nella piaga, ti guarda di nuovo con i suoi occhi indagatori, ti fa domande aspettandosi certe risposte. Tu annaspi, parli, sorridi nervosamente e ti rendi conto che era meglio farsi curare dal dentista.
Il doppio colloquio
Sei positiva, sei sicura che questa è la volta buona. La società in questione ti piace, è famosa, si occupa di argomenti rilevanti, ha dei testimonial celebri. Entri entusiasta e ti accomodi in sala d’aspetto. Arriva l’addetta alle risorse umane, è giovane e insicura, stranamente non ha quell’incalzare tipico delle “scrutatrici da colloquio”, per cui è facile per me sopraffarla con la parlantina di chi è sicuro di quel che sta dicendo. Lei annuisce con la sua posa statica e sorride forzatamente. Entra la boss. Ah bene, giochiamo sul serio allora, mi stavo annoiando con la tipa ingessata.
Con lei mi diverto di più, sembra voler mettermi in difficoltà su alcuni punti della mia formazione ma io le dò il ben servito, caspita son in gran forma. “Sì, sei proprio adatta per questo ruolo..”. Sembra troppo bello per essere vero. Infatti abbiamo tralasciato un argomento importante..la retribuzione. Guardo faccia di gesso e le porgo la domanda fatidica “ Qual è il compenso previsto?”. Ed eccola là, tracollo psico- emotivo imminente, gli occhi diventano enormi tanto li aveva spalancati.

“Cosa avrò detto di male?” penso fra me e me.
La boss guarda a terra. Silenzio tombale. La tipa di gesso con gli occhi ancora spalancati prova a balbettare qualcosa “Be..sì, insomma..certo..la retribuzione..come dire”. La boss non regge più la situazione “Massimo 300/400..capisco che è un full time, ma possiamo darti questo”.
“Emmm…state forse scherzando?”
L’amica di sempre
Arrivo in sala riunione e compilo il modulo (alcune aziende ti fanno compilare scartoffie inutili di cose già scritte nel tuo curriculum perché hanno un piano maligno e segreto per disboscare le aree naturali senza ritegno). Lei si fa avanti, sorridente, non so il perché ma sembrerebbe adatta per un format comico, i capelli ricci e gli occhi vispi non si addicono al tailleur da segretaria.
Iniziamo a parlare, il tutto sembra molto informale, quasi confidenziale. “Come faresti questa campagna pubblicitaria per questo determinato cliente?”. E via con le idee e con la creatività, lei mi guardava estasiata ad ogni proposta, le brillavano gli occhi. Siamo fatte l’una per l’altra, possiamo organizzare un pigiama party e farci le trecce a vicenda, tanto sembravamo in sintonia.
“ Voglio te”.

Caspita, non siamo in un teen drama, ma la profondità con cui l’ha detto sembrava tale. Ci salutiamo con sorrisi e smancerie e lei mi rassicura che farà il mio nome al capo, che il giorno seguente doveva sostenere solo dei colloqui formali, nulla più, aveva già scelto me.
Sta di fatto che mi molla il giorno seguente con una mail, dicendo che “il capo aveva scelto un profilo più in linea con le caratteristiche dell’azienda”. Alias è il figlio di un mio amico, dovevo dargli lavoro. Carrie Bradshaw è stata lasciata nella serie Sex and The City con un post it, io sono stata mollata con un’email dopo una storia di amicizia durata un colloquio. Chi sta peggio?
E poi arriva il meglio del peggio.
Arriva lei. La provincialotta travestita da donna in carriera. Il salume insaccato in un tubino rosso con cinta in vita ( che manco negli anni ’40 ne facevano di così striminziti) che vuole insegnanti come essere sul posto di lavoro.
“Siamo una casa editrice, il nostro obiettivo è vendere i nostri libri ai clienti affezionati e trovarne di nuovi, tu hai un modo di fare così..così..dolce”.
“Dolce?”
“Sì, sei lì tutta carina alla tua scrivania, mogia mogia, non riesci ad attrarre il cliente con le tue..parole…”
“ E quindi?”
“Quindi non va bene, ci vogliono ragazze più dinamiche..tu sei troppo…”
“ Forse sono troppo per stare qui..”
“Come scusa?”
“ Hai capito bene..so scrivere e so lavorare con certi strumenti, ho un cervello e questo è un problema, sarebbe più facile ammaliare il cliente con un vestito che mi faccia sembrare una salsiccia e un rossetto che stona completamente con il colore del vestito, però sai così ti guardano perché sei un oggetto da ridicolizzare non perché sei figa”.

Vi lascio immaginare come sono stata cacciata via in malo modo, ma in tanto le povere impiegate che lavoravano assieme in una scrivania enorme, mi guardavano con occhi trasognanti “Brava, hai fatto bene…” avrebbero voluto dirmi, però, ahimè, rimanevano lì a farsi punzecchiare dal prosciutto vestito di rosso per un misero stipendio.
Potrebbe diventare una lista ancor più lunga, ma questi sono fondamentalmente i peggiori colloqui che mi hanno vista protagonista. Le reazioni potevano essere varie: passavo dall’essere amareggiata, all’arrabbiarmi al non farci più caso, alla rassegnazione completa.
Poi ho capito che potevo riderci su, che l’ironia e il sarcasmo mi avrebbero salvato da un panorama tutt’altro che piacevole.
Ho capito anche che la mia penna vivace non risparmia proprio nessuno.
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