Mi ero promessa che non ne avrei scritto.
Non sarà proprio così, scriverò di te, solo per arrivare ad un gran traguardo, che non pensavo neanche di tagliare. Ma ahimè qualsiasi meta prevede un viaggio e qualsiasi viaggio ha le sue insidie, gioie e consapevolezze.
Ricordo la voglia sai? Quella grande, quella che ci costringeva a stare al telefono per ore, quella che ti attanagliava lo stomaco prima di un appuntamento, quella che ti vedo e fingo di non essere emozionata, perché si sa, le emozioni sì, ma con l’orgoglio sempre in tasca.
Ricordo il cielo sai?
Il cielo di Budapest in una notte di novembre, il cielo senza nuvole del sud Italia, il cielo sopra la nostra testa, di quelli che son pieni di stelle. Ricordo le costellazioni che indicavi con l’indice. Al fatto che no, non avremmo rinunciato. Perché se le stelle stanno lì da così tanto tempo, noi possiamo esserci, ancora un altro po’, l’uno per l’altro.
Ricordo il tormento sai?
Quello per renderti semplici le cose più difficili, mentre tu rendevi difficile anche la cosa più semplice.
Ricordo la lotta sai?
Ho lottato per te come una guerriera, anche quando tutto remava contro, anche quando la luce in fondo al tunnel sembrava una fiamma fioca e impercettibile. Ho lottato perché trovassi te stesso, perché fossi felice, perché ti alzassi ogni mattina fiero di te. Ho lottato per darti tutto quello che ti era mancato, ti ho protetto dai mostri della notte con la dolcezza e la presenza costante. Quella che tu non mi hai mai concesso.
Ricordo la semplicità sai?
Quella che mi aveva attanagliato il cuore legandolo al tuo. Perché non volevo i gesti altisonanti, volevo solo la sincerità di un sorriso. Volevo la tenerezza di uno sguardo. E pensavo che, no, non avresti mai tradito quella semplicità.
Ricordo le insicurezze sai?
Ho convissuto con le tue troppo a lungo, le ho coccolate per tanto tempo, sperando che un giorno si sarebbero quietate. Ho cantato ninne nanne per farle addormentare, ma se non ero abbastanza attenta si risvegliavano nuovamente, più forti di prima. Perché la paura rende tutto più oscuro, paralizza la mente e il cuore, e tu la tua paura hai imparato ad amarla, più di quanto amassi me. Hai imparato a proteggerla dai miei attacchi, hai imparato a sottrarla ai miei incantesimi.
Ricordo le pugnalate sai?
La più forte mi ha colpito dritto in pancia. Pensavo che non fosse vero, pensavo che non fossi tu, pensavo di aver capito male. E invece, eri tu. A braccetto con la tua paura. Hai scelto lei e non me. Perché non è bastato il cielo, non è bastata la voglia, non è bastata la semplicità, né il tormento, né la lotta.
Allora lo sai che mi son detta?
Che da te risorgo anche io.
Che non mi sono inginocchiata davanti alle paure.
Che sono più forte di quanto credo.
E un bel giorno qualcuno mi ha detto “Tu avresti bisogno di un uomo accanto che sia la tua montagna, qualcuno a cui appoggiarti”.
Ma io, nonostante la tua pugnalata ancora fresca, sapevo già che rispondere “Non ho bisogno che qualcuno sia la mia montagna. La mia montagna sono io”.
E sai una cosa?
Il cielo è stato di nuovo sereno, di un color porpora.
Non era più giorno, ma non era neanche sera. Era un favoloso momento di passaggio prima dell’imbrunire che mi ha fatto pensare che non importa se mi sento incompleta o non so ancora chi sono, proprio come quel color porpora. Importa che sono così e non mi rinnego. Sono tutte quelle sfumature.
E non mi serve la luce del giorno o quella della luna, mi serve sapere che la mia montagna sono io.
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