Tredici: una serie così non l'avevo mai vista. Ho seguito di tutto, dalle serie mainstream a quelle da veri intenditori, dai teen drama alle serie storiche.
Sono cresciuta a pane e streaming. Faccio parte di quella generazione che conosce le serie tv come le proprie tasche e che, talvolta, preferisce una scatola di biscotti e una buona fiction da seguire sul computer, piuttosto che uscire con gli amici.
La vita universitaria (soprattutto da fuori sede) ti indirizza verso questa particolare abitudine.
Con la serie Tredici ho iniziato per caso, perché bombardata dalle pubblicità su Facebook che mostravano delle pillole del telefilm. “Ciao…sono Hannah…Hannah Baker.”
Era un martedì sera e, nonostante non vada più all’università ma lavori a tempo pieno tutti i giorni, non ho certo abbandonato la cultura dello streaming, per cui, non avendo nulla di meglio da fare (o comunque niente di meglio da vedere) mi decido a iniziare questa nuova serie tv.
All’apparenza un teen drama come tanti.
Il liceo c’è, la protagonista carina, un po’ intellettuale e un po’ alla scoperta di se stessa anche. I fighetti del liceo inavvicinabili e pronti a denigrare la plebaglia ci sono, come anche il protagonista maschile introverso, buono ma con qualche problema con le relazioni sociali.
Niente di nuovo.
Ma questa storia è raccontata in maniera particolare: attraverso la voce della protagonista che registra tramite delle cassette (si avete capito bene, uno strumento anni ’90 che abbiamo dimenticato, insieme alle compilation delle Spice Girl) le tredici motivazioni per cui si è tolta la vita.
Clay (l’introverso un po’ asociale) ripercorre tutte le tappe di questa storia, tutti i luoghi che hanno segnato la sua vita e si confronta con tutte le persone che le hanno fatto del male (talvolta volendo fare il giustiziere senza infamia e senza lode). Ma in quelle cassette ci sarà anche lui e lì sarà difficile fare i conti con se stesso.
Clay ed Hannah
Odio li spoiler e sicuramente qui non ne farò. Mi fermo qui con la piccola descrizione della trama. Perché quello che mi interessa sottolineare è la cruda realtà che viene messa a nudo in una storia di adolescenti dove non ci sono lieti fini, ma solo smascheramenti continui. Dove le parole sono sofferenza, mancata accettazione di se stessi, incapacità di comprendere l’altro e assenza totale di empatia.
Nella serie c’è spazio, oltre che per un crudele mondo di ragazzi, anche per un silente mondo degli adulti, che preferisce, come gli struzzi, mettere la testa sotto la sabbia e fare finta che niente sia successo.
Ma le violenze, i tradimenti e le ingiustizie ci sono e continueranno ad essere. E ci sarà anche qualcuno che per le sue fragilità (più o meno evidenti) non reggerà la situazione che, anzi, si farà sempre più pesante.
Quello che mi ha colpito in Tredici è stato il crescendo. Un dramma che esplode come una climax in una poesia ottocentesca. Dalle piccole cose, dalle minime prese in giro e voci di corridoio si arriva a violenza vere e proprie e cattiverie gratuite.
Mi sono chiesta, guardando la serie…Hannah Baker non avrà preso troppo sul serio tutto questo? Non sarà stata troppo insicura? Non poteva comportarsi diversamente?
No.
Perché Hannah poteva essere una ragazza di provincia, di città, una giovane donna ricca e sofisticata o una alternativa o una sognatrice.
Hannah Baker potevi essere tu.
Perché alla fine bisogna fermarsi e osservare l’altro con più attenzione per cogliere quelle sfumature che altrimenti andrebbero perse. Per cogliere la sofferenza negli occhi dell’altro.
E, infatti, Hannah Baker non aspettava altro che qualcuno la fermasse.
Ma quel qualcuno, purtroppo, non c’è stato.
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