Lei amava le certezze. Doveva decidere a priori di essere sicura. Doveva fasciarsi la testa per bene, legare le fasce con un gancio resistente, così ogni cosa non l’avrebbe scossa, la caduta sarebbe stata attutita, il colpo una carezza più decisa.

Esistevano il bianco e il nero. O sei da questa parte o dall’altra, perché mettere in maniera meschina le idee, i pensieri, i modi di vivere in due sponde di vita così diverse?

gaia il giglio e la spina

Si dilaniava nei perché. Leopardi diceva che la vera saggezza sta nel dubbio e lei, anche se non voleva ammetterlo, viveva nel dubbio lacerante che quel bianco e quel nero non fossero che dei mondi sicuri, abilmente costruiti per non soffrire.

Amava le staccionate, i pilastri, i cancelli, le grate. Per il solo motivo che delineavano un confine. Lo spazio fisico aperto e incontrastato la spaventava a morte.

Era bello per lei sentire un “ci sono” piuttosto che un “vediamo come va”. La presenza reale ed oggettiva, più che una speranza fallace.

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Odiava sperare. Questo verbo le ribolliva in pancia. La faceva sentire stupida. In cosa posso riporre tanta energia e aspettativa? Nel cambiamento? In una presa di posizione? Nell’amore? Nell’amicizia?

Il cambiamento arriva e neanche te ne rendi conto. Cominci a sentire le gocce sul viso, non ti preoccupi dell’ombrello o di metterti al riparo. D’improvviso ti ritrovi nella bufera e sei solo, dannatamente solo.

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Non ci sono cancelli a segnare limiti e confini, nessuno grida a gran voce un “ci sono”, le sfumature  che si proiettano nell’orizzonte sono così tante che il bianco e il nero li abbiamo persi di vista, i perché non trovano risposta, le domande diventano retoriche.

Non voleva credere che in un panorama così catastrofico l’unica cosa che le restasse fosse la speranza. E’ come pensare di mangiare un pacco intero di cioccolatini tutti i giorni e credere di non ingrassare. E’ la stessa cosa.

La speranza insozza ogni cosa. Ti fa credere che aspettare e fare la fila ti porterà da qualche parte. La speranza è subdola, ti fotte perché riesce a far crescere dentro te dei sentimenti fasulli, che nell’atto di sperare diventano addirittura quasi veri.

Possiamo accontentarci di una costruzione?

Più che sperare bisognerebbe credere, che è ben diverso.

Crederci davvero in qualcosa, prima di tutto in se stessi. Da quel momento la bufera non sembra che un venticello assonnato e il cambiamento può attraversarci completamente.

Credere significa corciarsi le maniche e smetterla di aspettare, significa correre verso la meta, non rimanere fermi fino a quando qualcosa magicamente avverrà, significa mettersi in discussione, non abbandonarsi alla retorica ma alla sapienza così come la intendevano i Greci.

Crederci significa smettere di parlare. Smetterla con i perché. Smetterla con il bianco e il nero. Smetterla con le grate e le staccionate. Significa buttarsi a costo di farsi male. Significa soffrire e poi riemergere. Ed è lì la forza.

gaia il giglio e la spina

Non nella speranza. Chi vive di speranza muore disperato. Così diceva sua nonna e lei le credeva.