Ricordo quando per la prima volta entrai in quella casa. Sentivo l’odore di naftalina, sentivo quella fragranza pizzicarmi le narici, sentivo l’aria intrisa di ciarpame e vecchiume. Non mi ci vedevo in quell’abitazione dalla moquette verde e le pareti asettiche, bianche da incutere claustrofobia. Quei mobili scuri, quella luce che penetrava opaca dalle finestre fatiscenti. Eppure è stata la mia casa per i miei primi quattro anni a Roma.
Con queste immagini esordii la mia esperienza in un’ altra città, con altre persone, lontano da ciò che conoscevo. Ma l’ignoto non mi spaventava, anzi mi attirava a sé come un magnete.
Iniziai ad assaporare quei piccoli momenti di quotidianità con la fresca ingenuità di una bambina che si appresta a fare il suo primo gioco di società. I miei compagni ludici erano le mie coinquiline.
Infinite storie e caratteri particolari, che forse neanche un trattato di sociologia riuscirebbe a racchiudere nelle sue complete sfaccettature. Perché quella casa decrepita e barcollante come una vecchietta sdentata e zoppicante, era in realtà piena di vita.
Ricordo le infinite risate, quelle per cui lo stomaco si chiude e si stringe su se stesso per ripararsi dall’attacco di ilarità. Ricordo i drammi esistenziali, i pianti a singhiozzi e i cuori spezzati. Arrivava sempre una strana forma di collante a tenere i duri pezzi della vita attaccati assieme. Perché assieme si era più forti.
Ricordo cene improvvisate, pasti imbarazzanti che una povera madre avrebbe strabuzzato gli occhi impaurita. Ricordo serate di sigarette e vino, di chiacchiere infinite che anche se gli occhi si chiudevano dal sonno incombente, c’era un’ennesima storia da raccontare, un altro episodio di cui ridere, un altro aneddoto imbarazzante da riportare alla memoria.
Ricordo il profumo della macedonia in frigo preparata assieme e mangiata come fosse parte di un banchetto reale, perché ci rendeva più serena e colorata la cosiddetta sessione estiva. Ricordo scene al limite del ridicolo, persone che camminavano per il corridoio che non conoscevi minimamente e salutavi con la solita domanda “e tu a chi appartieni?”. L’ospite veniva travolto da questo vortice irrefrenabile che eravamo noi. Era la dolcezza di quegli anni a renderci meno ciniche, meno individualiste, più coraggiose e pronte a tendere una mano, forse anche due se necessario.
Ricordo i litigi, le urla, le parole al sapor di veleno, visi resi mostruosi dall’ira. Ricordo il dialogo, la comprensione che in un modo o nell’altro ne scaturiva. C’era sempre un modo per trovare la via dell’altro, bastava spostarsi per un attimo dalla propria.
Ho trovato una casa meravigliosa ora, ma ho lasciato lì le risate a crepapelle e la spensieratezza di chi non ha paura del domani. Le finestre ora si chiudono, i pavimenti sono in marmo e i mobili chiari, la luce entra prepotente su ogni cosa. Eppure la naturalezza di alcuni gesti, la spontaneità insita nelle parole, negli avvenimenti, splendidi o disastrosi che siano stati, li ho lasciati lì.
Forse perché Cosimo, il “Barone Rampante” di Calvino aveva ragione, egli, infatti : ““…capì questo: che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada).”
E aveva dannatamente ragione.
Ma quello che non mi ha detto è che le situazioni cambiano e le persone pure. E quando l’ “associazione” si scioglie si torna ad essere lupi affamati solo del proprio benessere ed egocentrismo. Si infangano rapporti, calano silenzi e si interrompono le risate. I ricordi appaiono lontani miraggi perchè il presente si macchia di ipocrisia e irrazionalità. E ahimè si tiene la mano sempre lì, sulla guardia della spada.
Un altra verità però mi ha dato Calvino, che forse è la migliore risposta al mio dubbio. Le persone non cambiano, si rivelano per quello che sono.
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